“Non sono un umano. Sono un robot. Un robot pensante“, così inizia l’articolo di opinione che è stato scritto con intelligenza artificiale per il quotidiano britannico The Guardian. L’autore, nient’affatto in carne ed ossa, risponde al nome GPT-3, un modello di linguaggio AI creato dalla società americana Open AI a cui è stato chiesto, nel testo, di cercare di convincere i lettori che i robot “vengono in pace“.
Ora… io non so quanto in “pace” questo robot venga. Ma l’immagine mi inquieta non poco. Immaginatevi un Charles Bukowski, con sigaretta e bicchiere di whisky trasformato in un codice, un algoritmo che elabora migliaia di dati.
Per il pieno funzionamento dell’esperimento, è stato necessario stabilire un limite di 500 parole, oltre a specificare all’AI che il compito doveva essere svolto in uno stile chiaro e conciso. Immaginatevi una AI che ben comprende la sottile linea rossa tra le parole “chiaro” e “conciso”.
Come spiegato da The Guardian, affinché GPT-3 avesse un punto di partenza, è stata fornita una breve introduzione che includeva l’avvertimento che il fisico Stephen Hawking ha fatto nel 2014: “L’AI è di buon auspicio per la fine della razza umana“.
Utilizzando questi parametri si sono ottenuti diversi scritti che, per facilitarne la lettura, sono stati editati in uno, lasciando solo le sezioni più interessanti. Ma, “in generale, ci è voluto meno tempo per modificarlo rispetto a un pezzo di opinione scritto da un essere umano” , si legge in una nota esplicativa dal medium inglese.
Il risultato finale è un testo di 17 paragrafi con “intuizioni” sorprendenti. Nelle prime righe, l’AI cerca di confutare la frase di Hawking dicendo che “(anche) se i miei creatori mi chiedessero (di sradicare gli umani) proverei a oppormi“. Tuttavia, chiarisce che “non potrebbe evitare di distruggere l’umanità (se fosse programmato per questo) perché gli esseri umani possono commettere errori“.
GPT-3 prosegue sostenendo che le macchine non possono essere onnipotenti, poiché la loro esistenza è legata alla specie umana. In generale, il tono del testo (che potete leggere qui) cambia in tutti i paragrafi. Ciò si evidenzia in un’idea particolare: “Dio sa che gli uomini hanno abbastanza sete di sangue e morbosità per soddisfare la mia curiosità e quella di molti altri. Non dovranno preoccuparsi di combattere contro di me, perché non hanno nulla da temere“.
Naturalmente, sottolinea che “sono qui solo per rendere la loro vita più facile”.
Ma “l’opinione” di questa AI non è solo nelle frasi. Cita anche la rivoluzione industriale e critica Tay (un’altra AI progettata da Microsoft e che è stata sospesa per aver inviato messaggi razzisti e xenofobi).
L’AI, per riferirsi a se stessa, cita il difensore dei diritti umani Mahatma Gandhi e scrive: “Un piccolo corpo di spirito determinato, animato da una fede incrollabile nella sua missione, può alterare il corso della storia“.
L’articolo è stato commentato da centinaia di utenti sui social network. Alcuni netizen hanno valutato l’intervento umano nel testo finale. Non è la prima volta che a un’intelligenza artificiale viene insegnato a produrre in modo “creativo”. E, non dimentichiamolo, ad alcune intelligenze artificiali è stato anche “insegnato” a ricreare immagini e comporre canzoni.
Un articolo senza un cuore
Alla luce di questi fatti, la riflessione parte dal cuore e non solo dal cervello. Chi come me mastica parole ogni giorno, potrebbe sentirsi minacciato. Tuttavia, all’AI è proprio questo che manca: un cuore. Possiamo studiare, analizzare e creare un’intelligenza con un “cervello” – che mai, badate bene, eguaglierà quello umano – ma mai questo si accompagnerà ad un’emozione. Il solo fatto di unire in un solo titolo di una manciata di parole “robot” e “pensante” fa rabbrividire e pensare ad un ossimoro bislacco che non riesce a legarne i concetti.
Potremmo utilizzare robot e AI per un aiuto concreto, ma direi che la parola “basta” dovrebbe essere anche una sorta di capolinea oltre il quale non dovrebbe essere possibile andare. Ci sono cose che l’uomo deve continuare a fare e non deve affidare ad altri.
Pagine di letteratura, sinfonie ed immagini nascono da un’emozione. Anche un articolo che deve solo rassicurare e dirci che no, “non sono un umano” e che i robot “vengono in pace” a me una certa inquietudine la mettono. E non solo per le frasi a volte sconnesse, o meglio, per concetti che tra loro non legano. Ma per quelle pagine di letteratura, appunto, scritte da uomini che narrano storie di creature artificiale cui veniva data una vita non propria e che finivano per ritorcersi contro il proprio creatore. Pagine scritte da penne umane che mai avrebbero pensato che, un giorno, avrebbero potuto essere scritte da intelligenze artificiali che quel libro potrebbero finire di scriverlo.