Shaming online pandemico: ci sta aiutando a mantenere le distanze?

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Da metà marzo, quando abbiamo imparato espressioni distanziamento sociale e lockdown come mezzi per contrastare la diffusione del Covid-19, una frenesia pubblica di paura e violenza si è diffusa sui social media. Migliaia di persone accusano, nominano e svergognano gli altri per il rispetto o meno delle regole. Tutti sono presi di mira: i pendolari che tossiscono, chi vende i fiori o chi li annusa, chi indossa o meno la mascherina, ecc. Le scuole sono chiuse. Diversi profili LinkedIn e Facebook sono stati rimossi. Le minacce di morte sono state inviate a centinaia, se non a migliaia ad esponenti di governo e non.

Quando si tratta del crimine di non prendere sul serio una pandemia globale, forse lo shaming online è la punizione perfetta. Dopotutto, se vai in un luogo pubblico affollato, stai mettendo in pericolo la vita delle altre persone. Ma siamo proprio sicuri che puntare il dito, in realtà, sia un modo produttivo per cambiare il comportamento degli altri? Stiamo semplicemente diffondendo discordia in un momento già angosciante? Nel peggiore dei casi, stiamo incolpando gli individui per le misure incoerenti e confuse attuate da alcuni governi?

Il termine “covidiot” è stato caricato per la prima volta nel decodificatore di gergo online Urban Dictionary il 16 marzo ed è stato definito come: “Qualcuno che ignora le avvertenze relative alla salute pubblica o alla sicurezza“. Su Twitter, #covidiot è salito alle stelle la sera del 22 marzo; dall’oggi al domani, quasi 3000 tweet lo hanno utilizzato per segnalare le cattive pratiche.

La rabbia dietro i messaggi di rabbia è comprensibile: gli assembramenti mettono in pericolo la vita delle persone facilitando la diffusione del virus. Tuttavia, c’è chi approfitta di una giusta motivazione per dare sfogo ad una rabbia repressa e, in alcuni casi, pericolosa.

Non sorprende che lo shaming online possa avere conseguenze tragiche. Quando si tratta di coronavirus, si potrebbe sostenere che gli shamers mettano in pericolo una persona per salvarne molte altre. Ma la vergogna è effettivamente produttiva?

Il veleno generato non ha impedito di adottare lo shaming online durante la crisi del coronavirus. Quando le persone si vergognano, tendono a diventare a mettersi molto sulla difensiva, tendono a incolpare le altre persone, non sono inclini ad assumersi la responsabilità e non c’è alcuna probabilità che cambino il loro comportamento.

 

Allora perché lo shaming online è così intenso anche durante una pandemia?

Le stesse cose che guidano l’ostilità e l’azione collettiva offline possono guidare il comportamento dello shaming online: rabbia, identificazione con gli altri nella causa, convinzione che le nostre azioni, se fatte insieme, faranno la differenza. Più precisamente, quando un leader online enfatizza la nobiltà dell'”obiettivo” del suo shaming, le persone hanno maggiori probabilità di seguirlo.

Faremmo fatica a trovare un obiettivo più nobile del salvare vite umane, quindi ha senso che ci sia stato un aumento dello shaming nelle ultime settimane. Eppure, secondo una spiegazione più semplice, con un isolamento sociale sempre più comune accentuato, sempre più persone sono online e per lunghi periodi di tempo e questo è un problema che abbraccia il mondo intero. Il senso di perdita di controllo può significare che le persone cercano di assumere il controllo di ciò che sentono di poter controllare.

La vergogna è uno dei nostri sentimenti più primitivi: se accade su larga scala può essere psicologicamente traumatico

Se conoscessimo le conseguenze dello shaming online, dovremmo anche conoscere le conseguenze di ciò che pubblichiamo online. È anche possibile che, sebbene lo shaming non cambi il comportamento dei vergognosi, possa adattare le norme culturali. Tuttavia, nel complesso, gli esperti non credono nel potere della vergogna pubblica. Aumentando l’ostilità in un ambiente altrimenti instabile, stiamo solo promuovendo la norma dell’ostilità e dell’aggressività come mezzo per farvi fronte. Dovremmo essere tutti d’accordo sul fatto che non è una buona idea. Gli esseri umani possono comunicare le norme sociali in modo calmo e non aggressivo.

Solo che, qualche volta, non se ne ricordano.