Adolescenti in crisi? Parlano con l’IA, non con lo psicologo
C’è una nuova figura a cui i giovani si rivolgono nei momenti di difficoltà. Non è un genitore, un amico o un terapeuta, ma un chatbot. Tra gli adolescenti si sta diffondendo l’abitudine di confidarsi con l’intelligenza artificiale, in particolare con ChatGPT, per gestire ansia, tristezza, stress e altri disagi emotivi. Il fenomeno preoccupa psicologi ed educatori, che lo definiscono una forma di auto-aiuto illusorio.
Un “interlocutore” sempre disponibile, ma non umano
Per molti ragazzi, ChatGPT rappresenta una presenza costante e accessibile 24 ore su 24. Risponde in modo gentile, non giudica, e spesso riesce a fornire parole di conforto. Tuttavia, gli esperti avvertono che questa interazione non è terapeutica, anche se può sembrare tale. «L’IA può offrire risposte strutturate e rassicuranti, ma non può cogliere il linguaggio del corpo, l’ambiguità delle emozioni, la storia personale di chi ha di fronte», spiega la psicologa clinica Sara Moretti.
Il rischio di una nuova forma di dipendenza emotiva
Il confine tra supporto temporaneo e dipendenza emotiva da IA è sottile. Alcuni ragazzi iniziano a preferire il dialogo con un’intelligenza artificiale al confronto umano, considerandolo meno faticoso o meno rischioso. Questo, però, rischia di rafforzare l’isolamento sociale, impedendo di sviluppare quelle competenze relazionali fondamentali per il benessere psicologico.
«La relazione terapeutica è fatta anche di silenzi, frustrazioni, sfide», aggiunge Moretti. «È un percorso attivo, dove il paziente partecipa alla costruzione del proprio cambiamento. ChatGPT non può offrire questo».
Serve alfabetizzazione emotiva e digitale
Il boom dell’IA solleva nuove responsabilità per genitori, insegnanti e professionisti della salute mentale. Occorre fornire ai giovani strumenti critici per distinguere tra supporto tecnologico e cura psicologica. Serve anche promuovere l’importanza dell’ascolto umano, della vulnerabilità condivisa e del valore della relazione reale.
L’IA può essere un alleato in molti campi, ma non deve diventare una scorciatoia per evitare il dolore o la complessità delle emozioni. Perché alla fine, lo ricordano gli esperti, il disagio psicologico non ha bisogno solo di risposte: ha bisogno di essere ascoltato da un altro essere umano.