Quando si verificano eventi estremamente interessanti, il dibattito esplode su Twitter, Facebook e altri social network. Quello che stiamo vivendo oggi non ha fatto eccezione. Nomi come Russia, Ucraina, Vladimir Putin, NATO e persino il concetto di una temuta «terza guerra mondiale» – che è rimasta una tendenza globale fino ad ora – si sono riversati sulle nostre timeline, pronunciate da addetti ai lavori e presunti tali. Purtroppo anche da persone sedute al tavolo, con piatto davanti e pancia piena.
La possibilità di diffondere rapidamente i contenuti su qualsiasi piattaforma è servita addirittura ad alimentare i media a queste latitudini con informazioni trasmesse dal luogo degli eventi. Tuttavia, questa gentilezza digitale porta con sé un grande vizio: la diffusione di notizie false, popolarmente conosciute come fake news.
Da un’immagine senza contesto è facile inventare una storia, vista l’effervescenza dei soggetti coinvolti in campo. Quelle immagini, inoltre, non corrispondono a una dichiarazione politica. Purtroppo però, sono proprio gli attori coinvolti i principali bersagli e questo scatena un’inarrestabile coacervo di false notizie che ne trasformano altre.
Le immagini dell’esplosione di Beirut nel 2020, vecchie foto fuori contesto e persino screenshot di videogiochi, successivamente rimossi da Twitter, hanno fatto parte della diffusione della disinformazione. E questo è solo un esempio tra tanti, visti i numerosi errori divulgati scambiando giochi per realtà.
Poter accedere a informazioni affidabili e gratuite in tempi come quelli in cui viviamo è fondamentale.
Questa stessa dinamica si è manifestata anche su TikTok, dove la velocità delle pubblicazioni e la massificazione degli hashtag allineati a questo trend hanno aperto uno spazio simile alle bufale. E proprio questo social è stato forse il primo ad essere testimone attivo della preparazione di una guerra imminente. Il mezzo erano proprio i suoi iscritti che testimoniavano la propria realtà attraverso un semplice smartphone. Noi tutti siamo diventati loro testimoni.
L’unica soluzione, in tempi di saturazione informativa, è la verifica attraverso fonti attendibili dei dati in arrivo.
Offensiva digitale e possibilità di isolarsi da Internet
Dall’Ucraina, siti governativi hanno riferito di essere stati vittime di attacchi DDoS. Per far fronte a questa situazione, come riportato dall’agenzia Reuters, il governo ucraino ha reclutato hacker volontari per proteggere la propria infrastruttura digitale.
Internet è una delle piattaforme che potrebbero essere compromesse durante una guerra.
Dall’altra parte, attraverso rapporti pubblicati nel 2019, abbiamo appreso che la Russia ha sviluppato un sistema per mantenere la sua connettività digitale al di fuori della rete Internet globale. Quasi letteralmente premendo un pulsante, il governo russo ha affermato di avere la capacità tecnica di disconnettersi dal sistema DNS globale. A prima vista, l’attuazione di questa possibilità in Russia sembrava lontana. Tuttavia, visti i fatti noti, l’eventualità potrebbe concretizzarsi se questi sfortunati eventi continueranno a raggiungere livelli maggiori.
Ma quello che fa riflettere maggiormente, mettendo per un momento gli attori in campo, è la partecipazione di tutti. Dove per tutti si intendono anche testimoni infiltrati che raccontano la loro verità, spesso ritenuta inconfutabile da chi non ha la capacità della prova.
E’ vero che Internet ha dato la possibilità di parola a tutti. E’ vero che i social network ne sono lo strumento. Tuttavia, sembra che chi ne fa uso non sempre sappia quel che dice o non pondera, non valuta quel che ne potrebbe conseguire. Questo è un pericolo. E lo si intravvede nell’ondata di intolleranza che (troppo) spesso si percepisce apertamente quando il pensiero altrui è diverso dal nostro.
Questa, forse, è solo una battaglia di una guerra digitale più grande. Di noi.