Per decenni, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è stato spesso interpretato come un semplice problema comportamentale o un tratto di personalità difficile da gestire. Questo fraintendimento ha generato stigma e sottovalutazione della condizione, penalizzando chi ne soffre.
ADHD: non è solo questione di carattere – Le neuroscienze confermano alterazioni cerebrali
Oggi, grazie a progressi tecnologici come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e l’elettroencefalogramma (EEG), sappiamo che l’ADHD coinvolge alterazioni nelle onde cerebrali e nella struttura di specifiche aree del cervello.
Le ricerche indicano, ad esempio, una riduzione della connettività nelle regioni prefrontali, fondamentali per l’attenzione, il controllo degli impulsi e la pianificazione. Inoltre, si osservano modifiche nella regolazione delle onde cerebrali, che influenzano la capacità di mantenere la concentrazione e modulare l’attività motoria.
Un disturbo neurobiologico e non solo comportamentale
Questi dati sottolineano che l’ADHD è un disturbo neurobiologico complesso, con basi organiche evidenti e misurabili, e non una semplice “mancanza di volontà” o “pigrizia”. Comprendere questo è fondamentale per migliorare diagnosi, trattamento e supporto.
Verso approcci terapeutici più mirati
Conoscere le specifiche alterazioni cerebrali apre la strada a interventi personalizzati, che possono combinare terapia farmacologica, neurofeedback, training cognitivo e supporto psicologico.
Le neuroscienze ci offrono oggi strumenti per affrontare l’ADHD in modo più efficace, rispettoso e scientifico, andando oltre i pregiudizi di ieri.