Fateci caso: un post o un commento e si avvia un litigio (noioso) che si protrae per ore, commenti e riprese in altri post. Si leggono liti furibonde su Facebook, quando quest’ultimo dovrebbe essere una piazza di svago, il “muretto” moderno dove fare le chiacchiere. Mi chiedo: ma che senso ha? Che senso ha litigare su un social? E come questo litigio trova i suoi strascichi nella vita reale?
Andiamo con ordine.
Su un social network – ma prendiamo nello specifico Facebook, che è quello dove si “fa più opinione” – ci si dovrebbe trovare divertimento, la condivisione di un momento noto a tutti, l’informazione – perchè no – che stavamo cercando. Sappiamo davvero usarlo? Ne quo scritto qui.
Invece, tra drammi e gossip, ecco che nella nostra bacheca spunta il commento acido di un nostro contatto e di un rimbalzo altrettanto al vetriolo di un altro contatto. Per curiosità – umana – ci spingiamo anche a seguire questa querelle tutta social e, se proprio veniamo travolti da spirito cinico, coinvolgiamo qualche nostro/a amico/a con screenshot della zuffa che si sta tenendo sotto i nostri occhi.
Partiamo dal punto essenziale di una comunicazione sana e bilaterale: ogni tanto, sarebbe auspicabile accettare che ognuno di noi ha il suo pensiero. E che, come noi lo spiattelliamo in platea, allo stesso modo può farlo il nostro interlocutore. Sì, umanamente è più facile provare fastidio per chi è in contrapposizione con noi, ma non ci sarebbe democrazia senza un disaccordo. E comunicare su un social è un arte (ne ho parlato anche qui).
In questo, Facebook ci facilita la vita. Poniamo il caso che una lite si accenda a pranzo, con tutta la sacra famiglia. Sarebbe davvero plateale e, onestamente, molto brutto alzarsi e andarsene nel bel mezzo della lasagna domenicale perchè non si condividono le idee politiche di un altro commensale. Aggiungiamoci anche il fatto che, spesso, queste liti si protraggono per generazioni e (troppo) spesso frantumano famiglie ed è molto difficile tornare sui propri passi. Se l’orgoglio ha prevalso tra la prima e seconda portata, figuriamoci dopo settimane, mesi e anni di assoluto silenzio.
In questo Facebook ci facilita la vita, dicevamo. Basta scrollare e andare avanti, non leggere, ignorare. Se ci imbattiamo in un pensiero che proprio ci risulta indigesto – continuando la metafora – e che non riusciamo a rispettare, non ce lo prescrive il medico di commentare o di fomentare, colpire e affondare. Altra cosa sarebbe commentare con garbo, magari veicolando anche il proprio, di pensiero. Sì, è umano il disaccordo. Ma non per questo dobbiamo fare in modo che una piazza virtuale debba diventare il luogo di scontro dove il pubblico intorno a noi fomenta a forza di Like.
E anche in questo Facebook ci viene incontro. Non ci costringe nessuno ad essere o meno in contatto con quella o questa persona. Si accettano contatti o basta avvalersi delle mirabolanti funzioni “Elimina amico” e/o “Non seguire più”. Come nella realtà al di fuori del vostro portone di casa, nessuno ci obbliga a intessere relazioni con determinate persone. Si tratta di sopportarsi e, in un luogo di lavoro ad esempio, riesce meglio poichè costretti a regole sociali imposte da un galateo promotore di pacifica convivenza. Cosa ci spinge a non fare la stessa cosa anche su Facebook?
Lo schermo? Il display? La distanza che ci impone dal nostro interlocutore? Non ci fate una bella figura. Sarò impopolare, ma a questo punto meglio una bella scazzottata per strada, come ai vecchi tempi, come quando tornavamo a casa con un occhio nero piangendo.
L’importante è capire che anche su Facebook c’è altra gente. E’ un “caro diario” virtuale sotto gli occhi di tutti. Occorre sapere come comportarsi e nessuno ci permette comportamenti rilassati. Al più, la rilassatezza dovrebbe essere quella di una risata ad un video, ad una foto bizzarra.
Anche questo atteggiamento guerrafondaio potrebbe essere annoverato nel limbo dell’hate speeh. L’incitamento all’odio comprende molte forme di espressioni che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l’odio, la violenza e la discriminazione contro una persona o un gruppo di persone per una serie di motivi. Ed è bene essere consapevoli che, se per noi si tratta di un botta e risposta al vetriolo, per qualcuno più debole nel comprendere il come/dove/cosa/perchè e a discernere cosa è giusto e cosa è sbagliato, potrebbe trasferire la rabbia fuori. Fuori da Facebook.