LinkedIn, il social network professionale per eccellenza, è un ottimo strumento per chi cerca o offre lavoro. E, come tutti i social che si rispettino, è una nostra vetrina, solo che in questo caso è una vetrina professionale. Non cadiamo però nell’errore di postare la nostra vita privata sul nostro profilo. Non siamo su Facebook o su Instagram, dove quel che mangiamo o come ci stiamo divertendo il sabato sera ci definisce.
Il livello di concorrenza per vedere ed essere visti su LinkedIn è enorme e per questo è importante che si abbia definito un profilo ben costruito per non passare inosservato agli esperti di selezione del personale. E credetemi, la prima cosa che si nota, come quando si va per strada, è la propria immagine.
Scegli un’immagine del profilo che ti definisca
È ormai assodato che molte aziende facciano recruiting proprio sui social network. Potrebbe sembrare strano, ma la nostra società si è evoluta di pari passo con l’avvento dei social e non il contrario. Anche quando non ricordiamo una persona, ad esempio, ricorriamo alla ricerca del nome su uno di essi. Si scopre del tutto normale, quindi, una prassi ormai generalizzata nella ricerca di personale mediante questi nuovi mezzi.
Ed ecco che diventa fondamentale una foto che dica molto di noi, ma che nemmeno sveli troppo. Non solo una foto ricoprirà ha un posto nel nostro curriculum, ma l’aspetto professionale di LinkedIn richiede l’uso di foto appositamente progettate. Né troppo serio né troppo informale, un gesto semplice come un sorriso mostra calore e fiducia in se stessi. Allo stesso modo, è consigliabile utilizzare lo sfondo bianco e di evitare elementi personali che potrebbero rivelare le proprie inclinazioni (ad esempio politiche o religiose, non sarebbe questo il posto adeguato). E, perchè no?, si potrebbe valutare la possibilità di ricorrere a un professionista per garantire che la foto sia della massima qualità e, ovviamente, aggiornarla almeno ogni cinque anni. Si cresce, si cambia ed è giusto che chi ci cerca sappia con chi sta parlando e non con il nostro “io” di vent’anni fa solo perchè eravamo carini in foto!
Però… c’è un però!
Mi sono imbattuta in questo studio e ho scoperto cose interessanti, che vi riporto come segue:
- Il 70% degli intervistati ammette di aver rifiutato un candidato a causa della sua foto del profilo LinkedIn;
- Il 96% degli intervistati crede che una foto del profilo LinkedIn possa ispirare fiducia;
- Il 61% delle persone che rifiutano i candidati in base al loro aspetto crede anche che i candidati dovrebbero essere giudicati solo per le loro competenze.
Qualche riflessione viene da farla, direte voi. E noi la facciamo. Immaginiamo anni di studio dietro una foto di una persona che mangia un panino spiaggiata sotto su una palma. Un recruiter sarebbe orientato a scartare quel candidato perchè sì, ammettiamolo, l’abito fa il monaco. E le apparenze sono sempre quelle che la spuntano su un curriculum di 6 pagine. Bocciato!
Ma ecco che spunta la foto di un candidato in giacca e cravatta (se un lui) o camicetta bianca professionale (se una lei). Molto adeguato l’abbigliamento. Inoltre, quelle tre pagine di curriculum sono piuttosto convincenti. Tuttavia, una volta assunto/a, si scopre che non tutto è oro quel che riluce. Bocciato!
“I nostri dati mostrano che l’82% dei professionisti di LinkedIn concorda sul fatto che non dovremmo giudicare un libro dalla copertina. Questo significa che, almeno in teoria, dovrebbero astenersi dal valutare i candidati in base alla loro foto del profilo. Ma viene fuori che chi cerca lavoro può essere rifiutato per la sua foto del profilo LinkedIn più spesso di quanto si pensi.”
E’ proprio così, purtroppo. E rimanendo nella metafora perfetta della copertina di un libro, ci sarà capitato tante volte di scartare non solo un libro, ma anche un film o un ristorante solo perchè, in apparenza, poco convincenti. “Non gli avrei dato 20 centesimi!”, ci riscopriamo a dire quando la soluzione potrebbe esserci a portata di mano.
Vogliamo chiamarli pregiudizi?
“Molte cose possono influenzare il nostro giudizio – c’è un falso pregiudizio di unicità, un errore fondamentale di attribuzione o un pregiudizio di confronto sociale. Ma è l’effetto alone che gioca un ruolo cruciale. Questo preconcetto cognitivo dà a una persona una certa spinta in un’area, basata solo su un giudizio favorevole in un’altra area“, si legge ancora nello studio.
Ed è vero. Questo vale nella vita reale e non vedo perchè non dovrebbe valere anche nella virtualità di un social. Dobbiamo capire, infatti, che molti strumenti, oggi, sono più curriculum di un curriculum vero e proprio. E questo può valere anche nei rapporti fra colleghi. Pensiamo a pregiudizi della prima ora, di antipatie conclamate e mal celate. Che poi si rivelano errate perchè un post risulta interessante ed anche simpatico.
Nell’ambiente LinkedIn, quel che scriviamo e come appariamo dice molto di più di quel che vogliamo. Per questo merita un’attenzione speciale.
Sono questi gli aspetti da considerare per una foto perfetta. Perchè la prima impressione la fornisce proprio la nostra immagine, come un benvenuto quando si accoglie qualcuno a casa.
E se il “71% dei reclutatori intervistati ammette di aver rifiutato un candidato a causa della sua foto del profilo LinkedIn almeno una volta, nonostante le qualifiche lavorative adeguate“, forse è il caso di rivedere come accogliamo gli altri utenti sulla nostra bacheca (che un po’ la nostra casa).