La generazione cresciuta con il Wi-Fi sempre acceso e lo smartphone come prolungamento della mano sta iniziando a chiedere una tregua. Non perché rifiuti la tecnologia — anzi, ne conosce a fondo potenzialità e limiti — ma perché ha sperimentato in prima persona il prezzo emotivo dell’iperconnessione.
I dati parlano chiaro: quasi 7 ragazzi su 10 associano l’uso dei social a un peggioramento della salute mentale. Ansia, bassa autostima, confronto costante, iperstimolazione, e un feed infinito che spesso diventa una prigione invece che uno svago. È un malessere silenzioso ma diffuso, che oggi molti giovani hanno il coraggio di nominare.
E non è solo una questione di benessere individuale. Il bisogno di regole, limiti e confini richiama un desiderio più ampio: tornare padroni del proprio tempo e della propria attenzione. Perché vivere sempre “connessi” spesso significa, in realtà, essere dispersi.
È significativo che proprio i nativi digitali, quelli che conoscono internet “dall’interno”, chiedano di ridefinire il rapporto con la rete, di educarsi (ed educare) a un uso più consapevole, più umano. Non un ritorno al passato, ma una rivoluzione del presente, dove spegnere lo schermo non significa isolarsi, ma riconnettersi con sé stessi.
Cosa ne pensiamo? Che questa consapevolezza merita ascolto, spazio e azioni concrete. Perché la vera libertà digitale comincia quando impariamo a scegliere come e quando restare online — e soprattutto quando no.
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